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di Biagio Verdicchio

Quando Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani saltarono in aria, quel 23 maggio del 1992, io avevo appena dieci anni. Ricordo che guardai impietrito le immagini alla tv. Ebbi solo la forza di dire a mia madre: “Perchè ?” L’altroieri sulla stazione di Sorrento, una ragazza, giovane, forse neanche maggiorenne, aveva tra le mani un libro. Ho riconosciuto immediatamente la copertina. “Cose di Cosa Nostra”. Il libro intervista della giornalista francese Marcelle Padovani, vedova dell’ex segretario della CGIL Bruno Trentin, a Giovanni Falcone. Venti interviste che diventano materiale per dettagliate narrazioni in prima persona che si articolano in sei capitoli, disposti come tanti cerchi concentrici attorno al cuore del problema-mafia: lo Stato. Ho sorriso. Ho sorriso perchè quel libro, “vecchio” di più di vent’anni, era in mano ad una ragazza che nel 1992 non c’era.
La speranza non è morta.

Da quello stesso  libro, che ingiallito, oramai, fa bella mostra di sè nella libreria di casa, rileggo un pezzo…

Credo che Cosa Nostra sia coinvolta in tutti gli avvenimenti importanti della vita siciliana, a cominciare dallo sbarco alleato in Sicilia durante la seconda guerra mondiale e dalla nomina di sindaci mafiosi dopo la Liberazione. Non pretendo di avventurarmi in analisi politiche, ma non mi si vorrà far credere che alcuni gruppi politici non siano alleati a Cosa Nostra – per un’evidente convergenza di interessi – nel tentativo di condizionare la nostra democrazia, ancora immatura, eliminando personaggi scomodi per entrambi. Parlando di mafia con uomini politici siciliani, mi sono più volte meravigliato della loro ignoranza in materia. Alcuni forse erano in malafede, ma in ogni caso nessuno aveva ben chiaro che certe dichiarazioni apparentemente innocue, certi comportamenti, che nel resto d’Italia fanno parte del gioco politico normale, in Sicilia acquistano una valenza specifica. Niente è ritenuto innocente in Sicilia, né far visita al direttore di una banca per chiedere un prestito perfettamente legittimo, né un alterco fra deputati né un contrasto ideologico all’interno di un partito. Accade quindi che alcuni politici in un certo momento si trovino isolati nel loro stesso contesto. E allora diventano vulnerabili e si trasformano inconsapevolmente in vittime potenziali. Al di là delle specifiche cause della loro eliminazione, credo si incontestabile che Mattarella, Reina, La Torre [tutti uccisi dalla mafia] erano rimasti isolati a causa delle battaglie politiche in cui erano impegnati. Il condizionamento dell’ambiente siciliano, l’atmosfera globale hanno grande rilevanza nei delitti politici: certe dichiarazioni, certi comportamenti valgono a individuare la futura vittima senza che la stessa se ne renda nemmeno conto.

Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno.
In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere

Da tre anni dedico del tempo a condividere l’impegno della legalità e a trasmetterlo agli studenti, continuando a credere fermamente che “le vostre idee cammineranno sulle nostre gambe” e tra le pagine di quel libro trovo sempre attuale, mai tramontato, vivo e radicale, la lotta all’illegalità, a tutte le mafie. Il primo incontro con quei ragazzi, lo ricordo ancora: parlai di Falcone e di Borsellino, come di eroi. Credo che la nostra società abbia bisogno di immaigni “sovrannaturali”  per continuare a sentirsi viva. E nell’immaginario collettivo, la parola eroe ben si lega a questi due giganti della legalità. Peccato solo che tale “marchio” stoni profondamente  con quella che  era , ahinoi, il loro impegno di “servitori dello Stato”.  Magistrati. Per nulla supereroi. Per niente straordinari.  Il p.m. Ilda Boccassini, ha di recente ricordato

“Non c’è stato uomo in Italia che ha accumulato nella sua vita più sconfitte di Falcone: bocciato come consigliere istruttore, bocciato come procuratore di Palermo, bocciato come candidato al CSM e sarebbe stato bocciato anche come procuratore nazionale antimafia se non fosse stato ucciso. Eppure ogni anno si celebra l’esistenza di Giovanni come fosse stata premiata da pubblici riconoscimenti o apprezzata nella sua eccellenza. Un altro paradosso. Non c’è stato uomo la cui fiducia e amicizia è stata tradita con più determinazione e malignità.”

E allora, vorrei che passasse in questo ventennale forse più cupo, come ci ricorda la triste vicende delle bombe di Brindisi e della morte dell’innocente Melissa, l’idea che a vincere siano gli uomini “normali” quelli che portano avanti e  forte la speranza ,storie  di resistenze fatte di quotidianità, di fatica, di lacrime, di poche parole e rotture di silenzi imposti.  Solo così la memoria di Falcone e Borselino non sarà soltanto una foto sbiadita. Perchè a me, a quei ragazzi a cui parlo  di legalità e a quella ragazza non ancora maggiorenne con quel libro tra le mani, restaerà l’impegno giorno per giorno, resterà la possibilità di sognare che un mondo senza mafie è possibile, con un po’ di tristezza forse, perché dipenderà da quanto realmente saremmo responsabili e impegnati a fare la nostra parte. Del resto lo stesso Giovanni Falcone, non chiedeva di certo la luna: “Perché una società vada bene, si muova nel progresso, nell’esaltazione dei valori della famiglia, dello spirito, del bene, dell’amicizia, perché prosperi senza contrasti tra i vari consociati, per avviarsi serena nel cammino verso un domani migliore, basta che ognuno faccia il suo dovere”.

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