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 “Se piantatela lattuga e la lattuga

non cresce, non ve la prendete con la lattuga

 ma  chiedetevi perché non cresce”.

Comunicativamente

di Anna Gentile

Si è tenuto sabato 24 novembre presso il Centro Educativo Diurno di S.Agnello, in Via Iommella Grande, il seminario “C’era una volta… Una storia per tutti…”.L’incontro è  rientrato nelle attività educative, sociali e culturali che il C.E.D. offre alla cittadinanza ed agli utenti “per la promozione umana e cristiana della persona per soddisfare l’esigenza di aggregazione, di sport, di cultura e di assistenza sul territorio con particolare attenzione al disagio della persona in situazione di svantaggio. Argomento di discussione, la Comunicazione aumentativa e alternativa. Una tematica decisamente importante, soprattutto per quanti, come gli insegnanti, si trovano a dover operare con ragazzi che presentano una qualche disabilità temporanea o permanente e che mostrano, inoltre, bisogni comunicativi complessi. Non molto conosciuta la C.A.A. è un’area della pratica clinica, con cui, soprattutto gli specialisti, negli ultimi decenni hanno dovuto confrontarsi.  A relazionare sull’argomento, la dott.ssa Liccardi (neuropsichiatra infantile), la dott.ssa Delia Castellano (logopedista), la dott.ssa D’Antuono (neuropsicomotricista) e la dott.ssa Pererano (dott.ssa in terapia occupazionale). Prima a prendere la parola, la dott.ssa Liccardi, interessatasi alla C.A.A., a partire dal 1996, che ha mostrato una slide con al centro la figura del brutto anatroccolo. “I bambini con cui lavoro”, ha esordito, “sono dei cigni, ma non sanno di esserlo. Forse non tutti lo diventano, ma ci dobbiamo provare. Ogni bambino deve avere la possibilità di comunicare perché questo implica una scelta. La comunicazione aumentativa e alternativa è una modalità di comunicazione che può facilitare e migliorare la comunicazione stessa. Nasce intorno agli anni ’60 nei paesi anglosassoni e presta attenzione a quei soggetti che non riescono a comunicare. Nel 1996 nasce la prima scuola a Milano presso il Centro di Benedetta D’Intino e la C.A.A. viene conosciuta in Italia grazie al lavoro della dott.ssa Rivarola, Gava e Schiaffino che, attraverso il contributo della Fondazione D’Intino, ne introducono l’uso. La C.A.A. non è una tecnica riabilitativa, non deve ripristinare una funzione, ma deve sfruttare tutte le funzionalità di un soggetto, per sopperire alla comunicazione. In Italia se ne parla poco e male, ci sono molti pregiudizi ed è molto impegnativa. Per realizzarla e portarla avanti occorre un lavoro di rete. In realtà la comunicazione aumentativa e alternativa accelera lo sviluppo linguistico, sostiene la comprensione e lo sviluppo cognitivo, migliora i problemi di comportamento ed è fondamentale nei disturbi primari della comunicazione. Nasce per bambini con PCI e sviluppo cognitivo nella norma(disturbi autistici inclusi), ma è utile per tutti quelli che hanno voglia di comunicare. La comunicazione, se non è sostenuta, si spegne. Lavorare in questo ambito”, ha affermato la dottoressa Liccardi, “implica la costruzione di interazioni”. Una relazione puntuale ed attenta, quella della neuropsichiatra, che ha tenuto desta l’attenzione di tutti i presenti, soprattutto quando il discorso si è esteso ai diversi sistemi C.A.A. basati sulla comunicazione iconica, come ad es. IPCS o IPECS,che ricorrono a simboli e a scambi di immagini. L’intervento successivo, “nati per comunicare”, è stato quello della dott.ssa D’Antuono, che si è focalizzato sulle competenze innate del neonato che favoriscono lo sviluppo dell’interazione e della comunicazione. “Tali competenze”, ha spiegato, “devono essere attivate e fatte crescere all’interno degli scambi interattivi con l’altro, per consentire la progressiva costruzione/condivisione di significati. Il bambino, per sviluppare le sue abilità mentali necessita della mente della madre (o di un adulto che si prende cura di lui)che condivide le esperienze attribuendo ordine e significato”. A parlare, invece, degli strumenti nell’ambito di un progetto di C.A.A.,la dott.ssa Delia Castellano che ha focalizzato la sua attenzione sui “libri modificati”. “Un libro modificato”, ha spiegato la logopedista, “prende avvio da un libro che già esiste, ma viene tradotto in simboli per essere reso accessibile”. Uno strumento, dunque, che espone il bambino a un linguaggio ricco e strutturato, con tutti i giochi di emozioni e ripetizioni che sono utilizzati per sostenere l’ascolto della narrazione. Consigli pratici, inoltre, anche per la scelta su quale testo modificare. “Sicuramente”, ha precisato la dott.ssa Castellano, “è necessaria una valutazione preliminare: età, competenze recettive e lessicali, ma tra i requisiti di questa scelta bisogna includere il fatto che un testo debba suscitare emozioni, stimolare il pensiero, avere una storia avvincente”. Sono stati passati in rassegna, poi, anche i quattro modelli di libro, da quello molto semplice, caratterizzato da figure su fondo bianco, da poche pagine e da un numero limitato di simboli, a quello semplice, dalle figure chiare, da una struttura della frase lineare ma non breve, da una decine di pagine in tutto, ad un discreto numero di simboli. Figure di maggiore complessità, maggior numero di pagine, struttura della frase più ricca, simbologia maggiore, sono gli elementi che caratterizzano il libro elaborato. Infine, il libro molto elaborato è quello molto complesso, anche a livello di frasi e che può contare anche quaranta simboli per pagina. Per la sua complessità, dunque, si rivolge a bambini molto esposti alla lettura ad alta voce da parte degli adulti. “Un libro modificato”, ha concluso il suo intervento, “è uno strumento utile per agganciare bambini che differiscono per età, patologie e bisogni. Può essere utilizzato per bambini non verbali, per bambini con R.M., con ritardo del linguaggio, con DSA, con deficit di attenzione e iperattività”. Ultimo, ma non meno importante, l’intervento della dott.ssa Pererano sul teatro come mezzo terapeutico. “L’attività teatrale”, ha spiegato, “è un contenitore eccellente per sperimentare azioni ed emozioni ed infatti, in ambito riabilitativo, il teatro rientra nell’attività riconosciuta come Arte-terapia, proprio per la globalità di linguaggi che esso rappresenta”.

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