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di Biagio Verdicchio

Un’amica mi invia un sms pochi minuti fa: “lo abbiamo nominato ieri sera per telefono,ricordi? Biagio, per favore scrivi tu qualcosa”. Non ho conosciuto mai Lucio Dalla, eppure qui a Sorrento era un Dio. Mio padre, che non vedevo commosso dai tempi della mia laurea, ricordava le volte che “il maestro” era solito alloggiare nell’albergo dove da quarant’anni fa il pasticciere. Ho sorriso al pensiero che il grande Lucio facesse colazione con i cornetti appena sfornati da mio padre. Ma è inuile forzare la mente con qualche aneddoto. Il problema è che quando scompare un personaggio simile ti  senti improvvisamente orfano. Ho appena postato su facebook tre “storie-personali”. Perchè è davvero così affascinante dar fondo – in questi momenti – alla memoria e ai ricordi. Lucio Dalla era dietro quel “grande figlio di puttana” colonna sonora di “Borotalco”. Carlo Verdone era un mio mito, e quel brano scritto a quattro mani da Dalla e Gaetano Curreri degli Stadio, mi faceva troppo ridere. Lucio Dalla era quello di “Attenti al lupo”, forse il primo brano musicale a mio personale ricordo, da declinare alla voce “tormentone”. Il terzo è un libro di un autore locale che raccoglieva brani, poesie, canzoni di grandi “artisti” (in questa occasione la parola “artista” non stona affatto) nazionali e mondiali che raccontavano Sorrento e la sua magnifica costa. Ho sempre vivo l’immagine di un brano del Gran Tour di Goethe, con i versi, dolcissimi e sublimi di “Caruso”. Ho ripreso  oggi quel libro tra le mani. Ingiallito, lo  apro e vi scorgo un foglietto di giornale, Corriere della Sera (a firma di Cristina Taglietti),  strappato alla buona e datato 2002. Lo rileggo emozionato:

«Mi si ruppe la barca, ero tra Sorrento e Capri, mi ospitarono degli amici proprietari dell’ albergo dove morì il grande tenore Enrico Caruso. Per tre giorni sentii raccontare la storia del maestro e di quella ragazzina a cui dava lezione di canto e di cui era innamorato. Mi raccontavano di come, in punto di morte, gli fosse tornata una voce così potente che anche i pescatori di lampare la udirono e tornarono nel porto per ascoltarla. Caruso è nata così». Raccontando l’ origine di una delle sue canzoni più famose e amate, Lucio Dalla spiega il mistero della creazione dei testi. L’ occasione è il quarto di una serie di incontri organizzati dalla Fondazione Corriere della Sera e dedicati alla lingua italiana. Ieri, al Teatro Studio di Milano, Dalla, fino a sabato in tournée allo Smeraldo, ha parlato di canzoni con Giovanni Lindo Ferretti, autore di un album intitolato Co.dex. e in passato leader di una formazione storica che prima si chiamava Cccp, poi Csi, e con il rapper italiano Frankie Hi-Nrg. Tre modi diversi di declinare la canzone italiana, accomunati da un’ idea: scrivere non è come avviare la macchina, l’ ispirazione è un mistero. E se le parole servono per esprimere dei concetti, l’ ideologia è stata l’ altra inevitabile declinazione dello scrivere testi di cui si è parlato soprattutto a proposito di Lindo Ferretti e dei suoi Cccp […]. Ma è stato soprattutto il confine con la poesia il tema su cui più si è insistito anche se tutti hanno rifiutato, umilmente, l’ accostamento («Però quando mi hanno invitato a un convegno degli zulù, come poeta italiano, ci sono andato», ha detto ridendo Lindo Ferretti). Un accostamento che anche Dalla, autore di un libro appena uscito da Rizzoli (Bella Lavita), ha cercato di ridimensionare ricordando la lunga e proficua collaborazione con un poeta come Roberto Roversi: «I veri poeti sono come i bastardi, tutti li accarezzano, ma nessuno li vuole in casa». Lavorare con Roversi, ha ricordato Dalla, è stato drammatico: «Da lui ho imparato tutto, a scrivere da solo le mie parole, ma sopra ogni altra casa l’ emozione pura. Perché quello esprimeva Roversi nonostante volesse consegnare al pubblico italiano una canzone civile. Ogni volta che scrivo qualcosa vado da lui e mi basta il fuoco o la noia che vedo nei suoi occhi per capire se ho fatto bene o male». 

E per non apparire, alfine, troppo  retorico mi  piace pensare che quel “poeta bastardo” ci abbia provato gusto. Ha deciso di lasciarci tutti più soli, a pensare alle nostre facezie quotidiane, a disperarci e a dare fondo alla memoria.  Io me lo immagino lassù a farfugliare qualche frasesconnessa e a danzare in modo comico. Forse la vita va presa davvero così. Grazie Lucio

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