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I Riti della Settimana Santa in Penisola Sorrentina

 

“Comunità in Cammino”

 

È per molti il momento più atteso dell’anno, le celebrazioni del Mercoledì delle Ceneri sono appena terminate e ci si addentra nel periodo quaresimale. C’è grande fermento per la preparazione alla Settimana Santa. Le chiese e le sedi confraternali accolgono le prime prove dei canti processionali: voci bianche, Miserere e cori femminili riecheggiano all’imbrunire delle prime serate di Quaresima. Le congreghe e gli oratori iniziano a popolarsi di decine di confratelli che, con cura, lucidano lampioni e preparano vesti, simboli, croci, labari e statue per l’imminente Settimana. Ci si mobilita per vivere i riti che hanno caratterizzato da sempre l’identità storica e religiosa della penisola sorrentina. Un’eredità che viene da lontano, grazie alla presenza secolare delle realtà confraternali sul territorio. L’Arcidiocesi di Sorrento-Castellammare di Stabia è arricchita dall’attività di 45 confraternite che vivono con grande intensità il periodo pasquale. Ammontano infatti a ben 24 i cortei di incappucciati che rievocano la Passione di Cristo. Le origini di questi riti risalgono alle pratiche penitenziali medievali dei cosiddetti “battenti” o flagellanti, molto diffusi in Italia meridionale a partire dal XII secolo grazie al movimento francescano. La loro presenza in penisola sorrentina è certificata da una bolla del 1389 di Bonifacio IX che dimostra l’esistenza di battenti operanti nella chiesa di Sant’Antonino Abate a Sorrento. I flagellanti, vestiti con un rozzo sacco, cappuccio e flagello, erano attivi tutto l’anno ma le attività processionali non si limitavano alla Settimana Santa. Erano soliti uscire in corteo per battersi in pubblico, durante le epidemie e le calamità naturali ma l’attività principale era la recita dei salmi penitenziali che veniva effettuata nel chiuso degli oratori. C’è tuttavia un’origine più recente che si connota di particolari a noi più familiari. È nel contesto della Controriforma che si registra la nascita della maggior parte delle confraternite sorrentine esistenti oggi. Con il mutare della sensibilità religiosa e le indicazioni scaturite dal Concilio di Trento (1545-1563), si vive una fase di nuova evangelizzazione con la fondazione di ordini come la Compagnia di Gesù. Lo spirito della Controriforma vedeva proprio nei Gesuiti un potente mezzo di diffusione della rinnovata fede cattolica. A Piano di Sorrento nasce l’Arciconfraternita della Santissima Annunziata, fondata nel 1608 dal gesuita Padre Jacopo Aniello Pollio. I sodalizi postconciliari si prefiggevano come scopo principale la carità e il culto. Ci si occupava, ad esempio, della sepoltura dei più bisognosi come nel caso delle arciconfraternite della Morte ed Orazione (associate alla principale di Roma) presenti a Piano di Sorrento (1629), Seiano di Vico Equense (1641) e Massa Lubrense (1675). Altre come quella del Santissimo Crocifisso e Pio Monte dei Morti di Meta (1636) si impegnavano a garantire prestiti a prezzi agevolati, sottraendo i poveri dal ricorso  all’usura. Quanto ai riti, le antiche e cruente pratiche penitenziali venivano reinterpretate alla luce delle nuove esigenze e orientate alla meditazione sulla Passione e morte del Signore. La vocazione processionale si è evoluta ma è sopravvissuta fino ai giorni nostri, almeno nelle sue caratteristiche principali. Ogni sodalizio ha mantenuto il colore identificativo del proprio saio che è bianco per le confraternite di devozione mariana, nero per quelle dedicate al culto della morte e rosso come nel caso dell’Arciconfraternita della SS. Trinità che si occupava dell’assistenza ai pellegrini in viaggio verso Roma. La ritualità delle processioni della Settimana Santa è cambiata nel corso del tempo. L’aggiunta negli ultimi decenni di solenni cerimonie d’uscita, intronizzazione delle statue, cori femminili e coinvolgenti momenti di preghiera ha cambiato la natura delle processioni che sono oggi un vero e proprio cammino comunitario, ben lontano dall’accezione settaria dei cortei dei primi battenti. Al termine della messa in Coena Domini del Giovedì Santo, che ricorda gli eventi dell’ultima cena con i discepoli, il Santissimo Sacramento viene collocato nell’Altare della Reposizione per essere visitato dalle arciconfraternite che vi si recheranno in processione fino al mattino del giorno dopo. Gli incappucciati sfilano solennemente portando i simboli che ricordano la Passione di Cristo, accompagnati da luci e nuvole d’incenso. Il Venerdì Santo notte hanno luogo le cosiddette processioni della Madonna Addolorata, espressione della pietà popolare che vuole la madre in ricerca del figlio arrestato e condannato. La statua raffigurante l’Addolorata compie la visita agli Altari della Reposizione (chiamati anche “sepolcri”) fino alle prime luci dell’alba. Caratteristica comune a tutte le processioni sorrentine è la presenza del coro maschile del Miserere che sfila alla fine del corteo. Il canto, declinato in varie versioni musicali, esprime una richiesta di perdono, rompendo il silenzio della notte con le sue note suggestive. Non mancano i cori delle voci bianche che eseguono canti tradizionali scritti dai sacerdoti locali nel corso dei secoli. La processione del Cristo Morto del venerdì sera è il culmine della Passione, ultimo atto che introduce alla meditazione e l’attesa della Resurrezione. La tradizione (dal latino tràdere: trasmettere, tramandare) ha permesso la preservazione di questi riti che sono giunti fino a noi oggi. Tuttavia, non bisogna dimenticare che la tradizione è soltanto lo scrigno, l’involucro dorato che ha preservato per secoli la vera ragione che ha spinto i nostri predecessori ad uscire in processione al seguito di una croce, con il volto coperto e l’anima in cerca di perdono. Il rischio è che si possa incorrere nel secondo significato della radice tràdere (tradimento) dando troppa importanza all’involucro piuttosto che al contenuto, eccedendo in una manifestazione folcloristica. Confratelli e partecipanti hanno oggi l’onore di poter reiterare questi riti secolari e l’onere di tramandarli alla luce di quella fiamma che ardeva nei cuori dei nostri antenati: la Fede.

Aldo d’Esposito

 

 

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