E alla fine si finisce col parlare di lavoro, di politica, dei giovani, del passato e … del futuro. Eppure questa storia, all’inizio, racconta ben altro. Perché Valentina Ascione, giovane giornalista, sorrentina di nascita, che già da qualche anno si occupa di politica, giustizia e temi sociali legati a immigrazione, diritti umani e civili, ritorna nella natia Penisola Sorrentina a presentare il suo “Just(ice) in Italy”, reportage sulla situazione delle carceri in Italia, promosso da Radio Radicale, girato insieme a Simone Sapienza e che ha partecipato al prestigioso premio giornalistico “Ilaria Alpi”. La cornice è quella di Villa Fondi (Piano di Sorrento) che per una sera, grazie alla sapiente organizzazione messa in piedi dalla Ass. Culturale Eta Beta guidata da Franco Maresca e Mariella Nica, si è trasformata in luogo di dibattito e amaro stupore. Si percepiva forte il disagio, dinanzi alle immagini impietose (di Paco Anselmi) delle celle di Sassari, Perugia, Brescia, Messina, Favignana, dove sovraffollamento e precarie situazioni igieniche regnano incontrastate. Un bagno turco vicino al lavandino dove si lava la frutta, privacy ottenuta con tende ricavate da delle lenzuola. Agghiacciante, non solo perché in inglese “Just-ice” significa questo. Le accorate parole del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano su questa “prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile”, emergono tra gli interventi dei detenuti da un lato, costretti a dividersi l’unico rotolo di carta igienica, e i volti di coloro che sono impegnati in prima linea, sacerdoti (Gianni Pinna, Cataldo Fusco), volontari (Ristretti orizzonti), professori (Fulvio Vassallo) dall’altro. Ha colpito in particolare la numerosa platea presente, la differenza di toni nelle interviste ai direttori delle strutture carcerarie. Teresa Mascolo a Sassari, quasi seccata, illustra le ragioni per cui si arriva a togliere persino il materasso nelle celle di isolamento, salvo poi farsi cogliere impreparata quando le viene chiesto che se è vero che un materasso può essere usato per soffocarsi, perché mai, allora, resistono ancora vecchie e arrugginite reti di ferro, forse ancor più pericolose? Per Francesca Gioieri a Brescia, invece, guai a farsi condizionare. Gestire e nient’altro. A giudicare ci hanno pensato altri, giusta o sbagliata che sia la decisione del magistrato. Valentina ricorda che l’idea di questo documentario è nata dalle parole di Bianca Berlinguer, attuale guida del TG3 che ricorda di quanto sia difficile fare informazione sulle carceri, argomento che – come si dice – non fa “audience”. Basti pensare che le immagini che sull’argomento di solito girano sui network nazionali , si rifanno agli anni novanta. Da allora, in peggio, è cambiato troppo. Sono intervenuti al dibattito seguito alla visione del reportage, l’ex procuratore di Napoli Giandomenico Lepore, che ha sottolineato come amnistia e indulto non sono una risposta ai gravissimi problemi che affliggono il nostro sistema penal-giudiziario, non sono una scorciatoia, in un sistema sicuramente rigido da un punto di vista legislativo, ma non efficace sul piano pratico. Interessante la disamina di Antonino Siniscalchi, corrispondente del quotidiano Il Mattino che ha focalizzato l’attenzione sul lavoro di inchiesta svolto da Valentina. Ed è proprio dal “suo” di viaggio, in un universo che ci sembra così distante come quello carcerario, che è partita al termine della serata (dopo la visione del film dei fratelli Taviani, vincitore dell’Orso d’Oro a Berlino, “Cesare deve morire” che racconta come nella sezione di Alta Sicurezza del carcere di Rebibbia i detenuti provano il “Giulio Cesare” di Shakespeare) la più informale delle chiacchierate. Perché chi vi scrive conosce Valentina da una vita, dagli anni di Liceo Classico al P. Virgilio Marone di Meta, stessa classe, un banco avanti al mio. Seguo quello che scrive, le storie che racconta, e domenica sera ho letto nei suoi occhi la passione, quella per il mondo del giornalismo, la “missione” di documentare e raccontare la verità anche se scomoda. Mi sono tornate in mente, mentre ci scambiavamo aneddoti e ricordi, ma anche pezzi di vita di tutti i giorni con le sue difficoltà e cime da scalare, le parole di Gianni Riotta: “C’è un riflesso del giornalista di provare a dire sempre la verità, in modo chiaro, conoscendone la parzialità, sapendo che la verità che non si spiega, non serve, che la verità semplifica ma è salutare, The truth make you free, la verità vi rende liberi, dice la Scrittura”. E senza scomodare troppo il sacro, Valentina annuisce. Per quella “passionaccia”, ne sono certo, venderebbe cara anche la pelle.
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